Pagina aggiornata il 12 agosto 2010
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1 - Gocce
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Nel mondo non ci sono cose piccole e cose grandi. Ci sono solamente cose. Le distinzioni sono frutto della nostra incapacità di vedere e valutare la realtà. Il Monte Bianco (o qualcosa di simile) è grande? E un granello di sabbia è piccolo? No. Ambedue sono cose grandi. Perché il loro creatore è infinitamente grande. Ma non ragioniamoci troppo su. Il bambino che dormicchia in ogni poeta avverte in una goccia di pioggia la gioia, che invano uno scienziato ricerca negli atomi sempre divisibili delle cose
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GOCCE
Mi piace
quando piove
di sera
guardare dai vetri
implacabili gocce
sferzare rigagnoli smorti.
Osservare
nei tremuli raggi di luce
i fili d’argento
che legano obliqui
la terra a una nuvola nera
e ancora più su
al buio turchino
d’un sogno.
1961
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Il futuro è immaginato. Ed è immaginato sempre migliore del passato, perché corre sul filo della speranza. Il passato, nel meglio o nel peggio rimane come cosa morta. Il futuro è attesa, è un tendere alla vita. Sì. Quando la parabola è in salita! Quando invece comincia a discendere, il passato diventa un fardello che spinge giù. E giù c’è una cosa orribile. Perciò si verifica una situazione strana. Manca la tensione al futuro e non si ha voglia di rievocare il passato. Insomma il Capodanno è la più atroce delle feste, vanamente rallegrata da scoppi di mortaretti e da tappi di spumante. Si addice ai giovani.
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CAPODANNO
Prima dell’ora giusta
l’impazienza rompe gl’indugi.
Scoppi rimbombano
nella notte
e atterriscono i bimbi
più piccini
e quelli che desiderano
avidamente
il vino frizzante dei brindisi.
Tutti si scambiano baci:
è la sagra dell’amore
a buon mercato!
Gli occhi dei fidanzati
si accendono
di speranza.
Auguri senza senso
si sciolgono sulle bocche.
Poi tutto ritorna quieto.
E per la strada
si ode rumore di ruote
sui cocci.
1 gennaio 1964
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C’è chi soffre per una casa che viene demolita e c’è chi soffre per un orto che viene stravolto per far posto a una casa. Ciò che nasce mette allegria. Ciò che muore angoscia, fa male dentro. Poche cose sono tristi come un orto che muore, ucciso, sradicato, sconvolto da una ruspa. Almeno venisse soppresso a poco a poco con la zappa, il badile, il rastrello…
Sì, domani. E quando si comincerà a costruire?
Chissà come si sentirà in una vera, bella casa, il contadino che ha ceduto in permuta il suo orto…
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UN ORTO
C’era un orto laggiù.
Era sempre coperto di verde.
I cespi di lattuga
bevevano la pioggia.
I folti cimieri dei finocchi
ondeggiavano sotto il Ponente
e i lunghi filari di pomodori
annunziavano maggio.
Cosa farà ora il contadino
dalla schiena deforme
senza il suo giardino?
La ruspa ha sradicato
ogni filo d’erba:
sorgerà un palazzo
di venti appartamenti
da venti milioni.
C’era un orto laggiù.
Ora non c’è più.
Febbraio 1964
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Il sole a picco rende rovente ogni cosa nella canicola estiva. Anche il mare sembra ribollire nei riflessi accecanti. La costa a strapiombo annega i suoi colori nel giallo sfolgorante, che esalta il bianco delle ali di due gabbiani, che s'inebriano di luce e di calore, che sale, sale e li sorregge.
Due barche, ancorate al largo, vuote, sembrano anch'esse volare, adagiate sul velo trasparente della baia.
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AMALFI
Inutile fruga l'occhio
i confini del mare
e barche si librano
e candidi gabbiani.
Erte stordite
e case bianche s'incantano
nel rogo meridiano di luglio.
1968
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I rapporti umani sono difficili. Se non fosse così, che bisogno c'era di dire: "Amatevi l'un l'altro..." ecc.?
Io, dice il Creatore, vi ho fatti liberi. Adesso la libertà ve la gestite voi. Vi dò solo un consiglio: amatevi.
E' una parola!
Almeno fosse facile la concordia. Macché. Liti e polemiche a non finire.
Insomma ogni essere umano è una...rotaia. E le rotaie, si sa, sono parallele. Qualcuno ha cercato di far convergere le parallele. Mah!
Almeno potesse ognuno conoscere bene la propria rotaia e calcarla allegramente! Tutti ci provano. Molti vi rinunziano. Alcuni vi insistono caparbiamente. Non per passatempo. Per dar senso alla vita.
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... E GIU'
E quando c'incontreremo
se le vie divergono?
Io non conosco
i tuoi aneliti,
mentre i miei...
oh, se li conosco!
Hai mai camminato
per trastullo
su una rotaia del treno?
Prima un piede,
poi l'altro, e...giù.
Poi daccapo,
con gli occhi fissi ai piedi...
Non so
se tu hai una rotaia.
Io mi accanisco sulla mia
a tutte l'ore: e cado.
1968
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Gaeta è una penisoletta che prende il sole da due parti opposte: da levante e da ponente. Vista da levante, appare come un grosso mandolino rovesciato. Sulla riviera di levante sorge il porto. Su quella di ponente arde la spiaggia di Serapo, per la felicità di quelle creature, che amano lasciarsi arrostire sotto gli occhi dispettosi dei vu cumprà, che non riescono a capire perché i bianchi vogliono diventare neri, mentre essi non hanno alcuna possibilità di diventare bianchi, nemmeno con la luna...
Se si ha la fortuna di affacciarsi da un balcone rivolto a levante, si può godere della visione beatifica (insomma...) del golfo, con i pescherecci che a sera scivolano sulle acque tranquille del porto, circondate dalla scena variegata della costa.
Che consolazione poter dire che qualcosa di buono c'è su questa terra!
Ma non è opera dell'Uomo. Anzi...
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SETTEMBRE
Nuvole vermiglie
bioccoli sfilacciati
vagano sulle creste aurunche.
Fremono schegge di luce
sul mare,
brividi pungono
le carni brunite.
Tendo la mano
e tocco le cime
e conto una ad una
le case di Scauri.
Il peschereccio
scivola sul vetro,
bianco e lustro
come una nave di lusso.
Inutili tramonti
s'infiammano
sulla spiaggia deserta
a settembre.
Gaeta 1962
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LE LAMPARE
Tremule luci ardono
sull'orizzonte profondo
nella notte senza luna.
Si spengono
e riaccendono indecise.
Uno ad uno svaniscono
i lumi delle case
e tutto sommerge la notte.
Sole restano le stelle
a punteggiare il cielo
e le lampare il mare.
agosto 1963
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Quell'anno sarebbe stato l'ultimo del mio insegnamento al Liceo. Il mio bisogno innato di cambiamento, il degrado dell'ambiente scolastico, le preoccupazioni derivanti da alcune problematiche familiari, m'inducevano a pensare seriamente all'eventualità di lasciare la scuola per il pensionamento. Eravamo a maggio e l'esplosione del caldo non favoriva l'attenzione verso la mia spiegazione della filosofia di Hegel. Cambiai registro e mi diedi alla conversazione sui problemi terra terra della vita. Il discorso cadde sulla vecchiaia. L'argomento mi stimolava e i ragazzi erano attentissimi. A un certo punto m'assalì la vena poetica e riassunsi l'argomento in una composizione estemporanea sulla lavagna.
Era il maggio 1979. L'ho ritrovata oggi, maggio 2010. Appropriata più che mai.
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SENECTUS
I miei sonni erano profondi
E non udivo la sua mano
Sfiorare la mia porta.
Ma nel cuore del silenzio
Sono notti ormai che raspa.
Una notte aprirò l’uscio
Al pugno che batte…
E sarò vecchio.
maggio 1979
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